Storie

Fari senz’acqua

enrica simonetti

In una suggestiva definizione, lo scrittore croato Predrag Matvejevic dice che i fari sono le cattedrali del mare. Si, è vero appartengono al regno del mare… ma non è sempre così. Sembra strano, ma da oltre un secolo esistono anche molti fari senz’acqua, torri di terra sulla cui origine è curioso indagare: non luoghi di confine come lo sono le lanterne marine, ma icone cariche di simboli terrestri e di umana memoria. È la teoria degli opposti che si toccano, perché se il faro di mare è lontano da tutto e da tutti, è un’isola che ci cinge con il suo raggio, il faro «terreno» invece se ne sta maestoso in una piazza, tra le case o su un colle. Una luce che si accende di significati, che si eleva a monumento, a simbolo di memoria e di luce sull’umana caducità delle cose, come se volesse compiere l’impresa impossibile di illuminare la memoria storica della nostra stirpe smemorata.

Faro della Vittoria, Torino (credits:

TORINO: Faro della Vittoria (credits: Stefano de Rosa)

 

L’occasione di viaggiare tra queste torri presenti e silenti viene da Torino, dove è stato inaugurato per la seconda volta il Faro della Vittoria, un gigante da 25 tonnellate, alto 18 metri che s’affaccia sul parco della Maddalena.

Faro della Vittoria

Faro della Vittoria

Questo faro, lontano, lontanissimo da ogni mare, è stato per tanto tempo un punto di riferimento per tutti i torinesi; la sua luce rotante si vedeva da quasi ogni punto della città e il faro ha avuto la sua storia discreta, aperta nel 1927 dallo scultore torinese Edoardo Rubino, cui il lavoro fu commissionato. All’epoca, il lavoro in bronzo, realizzato in tre tronconi a causa della sua imponenza, ebbe un grande successo; si pensi che l’opera diventò la terza al mondo in ordine di grandezza, inferiore solo alla statua di San Carlo Borromeo di Arona (Novara) alta 23 metri e alla Statua della Libertà di New York (21 metri). Fatto sta che il faro torinese con il tempo era molto invecchiato e i segni dell’età erano evidenti. Con un investimento di 350mila euro (erogato da Fiat, Exor e Comune) il Faro della Vittoria è stato restaurato.

La lanterna torna ad accendersi nello stesso modo e nello stesso luogo, ma in tempi molti diversi dal giorno in cui l’ottica rotante cominciò ad illuminare il parco torinese; all’epoca, fu il senatore Giovanni Agnelli a donare il faro alla città per festeggiare il decennale della vittoria della prima guerra mondiale e in un certo senso il faro ha sempre celebrato quel sentimento patriottico di cui risentono gran parte dei monumenti di quei tempi. La matrice «monumentale» celebrativa è la caratteristica dei fari di terra. Se quelli di mare sono nati per salvare le anime, quelli terrestri mirano a celebrarle.

Proprio in Puglia, a Minervino Murge, c’è un esemplare unico e autentico di quell’«animosità» politica che ha caratterizzato la costruzione di queste torri cittadine. Basta guardare a questo faro murgiano, spesso coperto di neve in inverno, per capire quanto sia stato legato alla sua era e cioè al fascismo: a Minervino, si notano immediatamente sulla torre le scuri littorie legate in fascio; così come tutte le decorazioni presentano i motivi tipici dell’epoca, con l’esaltazione del fascismo e dell’eroismo. Qui, infatti, nel mezzo dell’altopiano «secco» murgiano, il faro nacque dalla voglia di commemorare i caduti della città. Mussolini offrì 10.000 lire per la costruzione.

Fu incaricato l’architetto Forcignano e ci vollero ben 9 anni per arrivare alla conclusione dei lavori cominciati nel 1923. Il 29 giugno 1932, la luce si accese e non potè mancare all’evento lo stesso segretario del Partito Fascista, Starace. C’è persino un filmato dell’Istituto Luce che testimonia l’evento, con qualche immagine di Minervino in bianco e nero e con la solennità dell’era fascista. Si dice che furono installate due milioni di candele elettriche e queste arrivarono dal ministero della Marina Mercantile; mentre il basamento fu costruito in pietra di Minervino, bianca, solida, con la base cubica, il vestibolo e persino una piccola cripta sottostante.

Un faro senza mare nella Puglia del mare, un faro commemorativo nelle scritte, tanto che già nella parte frontale si legge vicino al volto della dea Minerva «Ai martiri di Puglia». In un’iscrìzione laterale, si parla anche della funzione «illuminante» del monumento: «Più che il Faro nelle tenebre / più che il sole a meriggio / splenderà nei secoli conforto ai fedeli / rampogna ai traditori / la luce del martirio». In entrambe le targhe è stata eliminata dopo la seconda guerra mondiale la parola «fascista» e questo avvenne quando nacque qualche polemica (dopo la caduta del Fascismo) da parte di chi intendeva far abbattere il faro. Ma non si può cancellare la memoria e così sono rimasti per sempre i trenta nomi di caduti (cinque erano di Minervino), insieme all’inno al loro eroismo: «Giurati al Duce salvarono con la rivoluzione la patria ebbero in premio la vittoria e l’immortalità».

Eccetto il trionfalismo e le iscrizioni commemorative, il faro di Minervino è identico a tutti i fari di mare del mondo: al suo interno, una scala a chiocciola porta in alto verso la lanterna e dall’alto si vede mezza Puglia, persino il Gargano se non c’è foschia mentre dall’altra parte ci sono gli Appennini. Ma non basta. Il giro tra i fari senza mare continua. E in Puglia, non lontano da Minervino, c’è un altro faro votivo, questa volta un po’ più in stile religioso che politico: è a Cassano delle Murge, sulla Collina del Convento. Lo chiamano «Faro votivo mariano» e ricorda il punto in cui, sin dal 1482, si accendeva, ogni sera, un grosso falò che faceva da guida per i naviganti che cercavano il porto di Bari, in un tempo in cui i fari sulla costa ancora non si edificavano e quindi l’Adriatico era avvolto dalle tenebre. Questo faro pugliese da collina fu costruito nel 1954, quando i Padri Agostiniani vollero illuminare il cammino del viandante verso Dio e Maria. Insomma, o soldati caduti in guerra o soldati di Cristo, ma sempre con la vista accesa da un faro.

Continuando il viaggio, eccoci in Calabria, a Mormanno (Cosenza) dove il faro votivo è acceso dal 1928 ed è decato ai calabresi caduti nella prima guerra. Se andiamo verso Nord, non si può non citare il faro votivo di Trento, nato per ricordare Cesare Battisti: fu costruito nel 1935 sul colle Doss e inaugurato il 26 maggio come monumento nazionale progettato dall’architetto Ettore Fagiuoli. A testimoniare questo avvenimento, c’è un video dell’Istituto Luce.

Come si nota, i fari di terra sono decisamente legati alle guerre. E non hanno mai pace. In Toscana, ad esempio c’è un faro votivo del 1928 che si è trovato al centro di una querelle politica. Di recente è tornato all’interno della Torre federiciana di San Miniato, luogo in cui fu installato il 4 novembre 1928 in occasione del X anniversario della vittoria della prima guerra mondiale. A volere il suo ripristino dopo decenni di abbandono è stato un Comitato cittadino nato nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Il faro era stato distrutto dai tedeschi il 23 luglio 1944 assieme alla torre e già nel 1958 la Sezione Mutilati ed Invalidi si era attivata per rimetterlo a nuovo, chiedendo al governo tedesco dei fondi a titolo di risarcimento e ottenendoli.

San Miniato torre federiciana _immagine_storica  (Credits: archivio.gonews.it)

San Miniato torre federiciana immagine storica – TOSCANA (Credits: archivio.gonews.it)

Ma i guai vennero dopo: esisteva il dazio doganale e la Sezione Mutilati non aveva fondi sufficienti; alla fine la battaglia è stata vinta, e dal settembre scorso il faro è tornato ad accendersi, non senza critiche e attacchi da parte di chi vede quel simbolo troppo carico di patriottismo d’antan. Luci di terra e luci d’acqua: è incredibile quanta storia racchiudano le semplici torri d’Italia. Aveva ragione Matvejevic: si, sono cattedrali e lo sono anche quando non c’è il mare a lambirle.

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